L’Olocausto, gli olocausti.
Il 20 luglio 2000 è stata approvata dal Parlamento italiano la legge n. 211 che proclama l’“Istituzione del Giorno della Memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti” il 27 gennaio. Sono passati tredici anni da quella data, e sarebbe utile fare un po’ di luce sul senso di questa giornata. Come ogni novità nella vita della gente, è risaputo che l’andamento generale dell’interesse popolare (l’unico interesse che può essere considerato vero, e per questo genuino) dopo un ragionevole massimo, decresce in maniera direttamente proporzionale con il passare del tempo. Questo va bene per le mode, i dischi, le canzoni, potrebbe essere accettabile per catastrofi naturali o affini, ma non possiamo permettere diventi accettabile per il ricordo, il ricordo di qualcosa che può, che deve aiutare tutti noi a ricordare il “perché?” e ad imparare il “perché no!”. Come disse qualcuno dobbiamo ricordarci di ricordare, dobbiamo imparare quanto è preziosa la “memoria della memoria” (Luzzatto).
Il fatto è che ci si potrebbe benissimo anche chiedere “perché no?”.
L’articolo 2 della suddetta legge recita: “In occasione del Giorno della Memoria di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere”.
Perché è quindi fondamentale ricordare? La risposta ci è suggerita dallo stesso articolo: “affinché simili eventi non possano mai più accadere”. Ma che vuol dire questo? Dietro a quello che sembra uno slogan pubblicitario, o un tormentone che ci sovviene quando ci chiedono “perché?”, c’è sicuramente qualcosa di più. C’è molto di più, c’è tutto quel mistero e tutta quella metafisica che è il sostrato della stessa vicenda, carico di domande indagatorie verso quella che non può sicuramente essere considerata solo “follia nazista”, che non può essere considerato solo genocidio. È infatti qualcosa di più di un genocidio, ecco perché (nulla togliendo a tutti gli altri rispettabilissimi popoli della terra, e ai loro ahimè rispettivi genocidi) rispondendo ai detrattori in merito all’unicità del giorno della memoria, il 27 gennaio si ricordano tutte le vittime di quella campagna xenofoba che noi definiamo Shoah.
Molti spesso si chiedono perché non viene ricordato il genocidio armeno? Perché non viene ricordato il genocidio dei pellerossa d’America? Perché non viene ricordato il genocidio assiro? Si potrebbe andare avanti tanto quante sono le ere del mondo, fino ad oggi.
Perché tutti questi avvenimenti non sono citati nella legge n. 211, e nella regolamentazione internazionale che ha proposto tale ricordo (non mi piace chiamarla commemorazione)? Il motivo è semplice: non serve!
Tutti i popoli che hanno subìto di queste persecuzioni meritano senza dubbio tutto il nostro rispetto e tutta la nostra comprensione. Ma se anche venisse istituita una “giornata internazionale per la commemorazione di tutti i genocidi possibili e inimmaginabili”, questa non servirebbe a molto.
Il motivo per il quale è stata resa speciale una giornata come il 27 gennaio, non è il genocidio contro gli ebrei, il genocidio contro i ruandesi o il genocidio contro i cambogiani; è il genocidio contro l’uomo, la caccia di uomini rivolta ad altri uomini. Il fatto che si prenda come punto di riferimento la Shoah ebraica ha essenzialmente due motivi. Secondo quello “ufficiale”: nessuna preparazione di uno sterminio di massa è mai stata tale quanto quella nazista, tanto che la sua rigida efficienza, perfetta freddezza, calma impersonale, riuscita tecnica, affascinano di un orrido sentimento di bellezza chi la studia, chi la conosce. Dobbiamo comprendere fino a che grado di pericolosità può arrivare la mente umana. Se lo stesso perfetto orrido metodo fosse stato usato per eliminare tutte le zanzare del mondo (non me ne vogliano gli ambientalisti) si sarebbe forse inneggiato al miracolo scientifico della tecnica, per la pulizia e la sottile tattica con cui questo bel lavoretto era stato eseguito senza sporcare o apportare danni collaterali. Ma più passa il tempo, più succede questo, che gli uomini si trasformano in zanzare, e in qualche angolo remoto là del futuro, prima o poi si sentirà la voce di qualcuno esclamare meravigliato: «Embé? Vi hanno ucciso le zanzare e vi lamentate?» oppure notando che di zanzare, effettivamente, ancora in giro per il mondo ce n’è: «Le zanzare non sono mai state debellate, nessuno in realtà mai si è preoccupato di eliminarle tutte! Loro non sono necessarie per la vita del nostro ecosistema, anzi! Lo degenerano. Dobbiamo prendere provvedimenti il prima possibile. Perciò, ce ne occuperemo noi!»… È evidente come il negazionismo incida notevolmente sull’ideologia dei popoli riguardo al ruolo delle zanzare.
Esiste poi un altro motivo, quello “ufficioso” dell’istituzione di questa giornata, che è meno divulgato, più segreto e appartato, perché riguarda un limite della mente umana, e spesso l’uomo tende a nascondere, soprattutto a se stesso, i propri limiti.
Noi quando ricordiamo abbiamo bisogno di volti a cui pensare, abbiamo bisogno di immagini alle quali rimandare la mente, abbiamo bisogno di fatti a cui appellarci, con i quali dimostrare che tutto ciò è vero, che è veramente accaduto e potrebbe riaccadere in qualsiasi momento. Se durante il giorno della memoria si ricordassero tutti i genocidi in generale, tutti, nessuno escluso, purtroppo il rischio è che si arrivi a un riferimento idealizzato della “vittima perfetta” del genocidio, volto senza figura, lineamento stilizzato, faccia da santino. Il pericolo è quindi quello dell’astrazione, e a meno che non si sia dei matematici, spesse volte l’astrazione porta alla dimenticanza, alla disconoscenza, alla rievocazione distorta di fatti o, quel che è peggio, alla rievocazione di ormai più nessun fatto, alla certezza che non sia mai successo niente.
Questa memoria, non abbiamo paura a dirlo, deve essere una memoria fondamentalmente strumentale, una memoria a favore dell’uomo indipendentemente da qualsiasi etnia, lingua o religione, che si sia ebrei, armeni, cristiani o greci. Senza dubbio non si reputa di minore importanza la memoria addetta agli studiosi, agli specialisti a coloro che studiano il corso del tempo e degli eventi, la cosiddetta memoria storica, può anzi fungere da valore aggiunto al cammino con il quale vogliamo arrivare alla nostra meta, ma non dev’essere primaria, e non può esserlo se ci si deve ricordare di un proprio fratello con degli occhi da fratello.
Per chi pensa che questo sia un oltraggio alla “memoria” di tutte le “altre” vittime dei genocidi (ma “altre” da chi? Non si stava parlando di Uomo?), si ricordi che è anche grazie a queste vittime che oggi è possibile trovare il supporto e la forza affinché tutto questo non accada mai più, e per loro non esisterà mai onore migliore di una Memoria più bella di questa.
Antonio De Luca, V F
27.01.2013