Chi troppo, chi niente: la disuguaglianza economica
Esistono pareri discordanti sull’utilità della disuguaglianza, sulla sua necessità e su come possa essere gestita e modificata. Di certo c’è solo il fatto che, a oggi, lo scarto esistente tra “ i ricchi” e “i poveri” è veramente eccessivo e, per i secondi, motivo di notevoli difficoltà e stenti ormai quotidiani. La fascia di popolazione appartenente alla classe media si assottiglia sempre di più e la maggior parte di questa va ad ingrossare gli strati più bassi della scala sociale. Joseph E. Stiglitz, famoso saggista ed economista statunitense, ci offre alcuni dati significativi e alquanto preoccupanti: “Le 358 persone più ricche al mondo hanno una ricchezza pari a quella del 45% più povero della popolazione mondiale. Se consideriamo i dati riferiti ai tre individui più ricchi al mondo, otteniamo una ricchezza che corrisponde a quella dei paesi meno sviluppati messi insieme, circa 600 milioni di persone. Più in generale, l’1% più ricco degli individui detiene circa il 40% della ricchezza mondiale; il 50% più povero della popolazione mondiale detiene solo l’1% della ricchezza complessiva”. Secondo Stiglitz, la grande recessione (cominciata nel 2008 e presente in quasi tutti i paesi del mondo) non ha creato la disuguaglianza, ma di certo l’ha aggravata. “Possiamo migliorare la situazione[…], a patto che il 99% della popolazione si accorga di essere stato ingannato dall’1%, […] il quale ha lavorato sodo per convincere il resto della società che un mondo alternativo non è possibile”. Oggi quasi tutto il nostro paese avverte i segni di una crisi che, per molti, è troppo grande da portare sulle proprie spalle, senza vedere l’ombra di un aiuto da parte di chi dovrebbe sostenerti. Ultimamente sono tanti, troppi i casi di suicidio motivati dal malessere economico; e troppi i senzatetto che di sera riempiono le panchine o qualsiasi posto più o meno riparato dalle intemperie; davvero troppe le persone costrette a mendicare nei pressi dei semafori o dei supermercati. E cosa puoi fare tu, un granello nella massa, quando un altro essere umano ti si fa vicino nella speranza di avere da te “un regalo” che gli permetta di attutire la fame (sua o della sua famiglia), almeno per quel giorno? Girare la testa, andare avanti, dire che ti dispiace ma che non puoi aiutarlo: questo è ciò che facciamo tutti di solito. Ci fermiamo mai a pensare? No, troppo doloroso e difficile, meglio intasare la mente di altri futili pensieri. Infatti, se avessimo il tempo di riflettere, ci accorgeremmo troppo rapidamente che quella persona è uguale a noi: gli stessi nostri diritti e doveri, le stesse nostre passioni ed emozioni; già! Peccato però che i suoi diritti non gli siano effettivamente riconosciuti, che non possa adempiere ai suoi doveri, e che le sue emozioni più ricorrenti siano accompagnate da lacrime amare. La verità è che, pur non avendo tutti le stesse preoccupazioni, le nostre sono sempre più grandi e più importanti per lasciarci lo spazio e il tempo per accorgerci di chi sta peggio di noi. Ognuno pensa al suo, ed è giusto così! Ciò che peggiora le cose, però, è il fatto che questo modo di pensare (o di attutire la coscienza) è diffuso soprattutto tra le persone che hanno troppo e tra quelle che dovrebbero preoccuparsi di risollevare la situazione. Proprio per questo motivo, più aspettiamo che se ne occupi chi di competenza, peggiore sarà la situazione. Dovremmo quindi smetterla di pensare che non stia a noi muoverci e che il nostro passo non muoverà il mondo: se strappando un fiore da un’aiuola pubblica, pensi che non sarà quell’unico fiore a rovinarla, forse dovresti chiederti cosa succederebbe se tutti quelli che si trovano a passare di lì la pensassero come te. Ma anche questo, in un mondo che corre, richiede uno sforzo eccessivo perché ci si possa ancora fermare.