BAARÌA di Giuseppe Tornatore. Titolo: KOLOSSAL DAI TROPPI TEMI CON TANTA SPECULAZIONE
Il film Baarìa di Giuseppe Tornatore, proiettato in anteprima mondiale alla Mostra del Cinema di Venezia, ha ricevuto una tiepida accoglienza da parte dei critici, ma ha avuto il merito di catturare l’interesse e la curiosità dei tanti spettatori che si sono recati al cinema per giudicarlo. Sarà perché è un film italiano, e per di più di un regista siciliano che narra la Sicilia e la sua Amarcord, sta di fatto che si è fatto un gran parlare di questo film, anche perché l’opera è costata 25 milioni di euro – non era mai successo per un film italiano (e parte di questi soldi, 4,5 milioni, sono stati stanziati dalla Regione Sicilia).
Il film ha coinvolto tanti artisti, attori professionisti (63) e non (147), ma anche moltissime comparse, ben 35mila, al punto che, fra i tanti volti impressi sulla pellicola, ogni siciliano ha potuto riconoscere un proprio amico, conoscente o parente. Ricordiamo la parte recitata dal cardiochirurgo riberese Giovanni Ruvolo, scritturato nel ruolo a lui più congeniale, quello di un medico che visita il protagonista Peppino. All’interno di una bella villa in stile liberty di Bagheria, il medico riberese fa sapere di aver lavorato alle riprese dalle otto del mattino fino a mezzanotte, proprio per girare quella scena del film.
Tra i volti conosciuti dal grande pubblico ricordiamo i siciliani Beppe Fiorello, Valentino Picone, nell’impegnativo ruolo di padre della sposa, Enrico Lo Verso, Luigi Lo Cascio, Luigi Maria Burruano, il farmacista, e Salvatore Ficarra che interpreta uno stralunato attivista comunista, ma anche gli attori Michele Placido, Raoul Bova o il cameo role (breve apparizione) di Monica Bellucci che amoreggia e sembra quasi una forzatura. Con il suo “innocuo” zampino all’interno di Mediaset e Medusa, anche Silvio Berlusconi ha recitato la sua parte per il film, elogiandolo e facendo risentire un po’ il regista e sceneggiatore Tornatore, simpatizzante di sinistra. “Un capolavoro che tutti gli italiani dovrebbero vedere” – aveva detto il premier, subodorando la possibilità non soltanto di fare quattrini, ma anche di strumentalizzare in suo favore la storia di un comunista idealista, Peppino Torrenuova (Francesco Scianna), che va in Urss e resta deluso. Secondo Berlusconi,“il protagonista è un comunista ideologicamente puro che vuole cambiare il mondo, poi va in Russia e si accorge degli errori che il comunismo ha prodotto in Russia…” Giuseppe Tornatore, dalla Mostra di Venezia, faceva sapere di apprezzare i complimenti sul film, ma respingeva al mittente questa sintesi, dichiarando ai cronisti:“ridurre il film a questo episodio è sbagliato, è una bugia”.
2.800 costumi, 9 mesi di riprese, 12 mesi di costruzioni scenografiche, di cui unalocation alle porte di Tunisi in cui è stata ricostruita la Bagheria perduta degli anni ’30, oltre ad un set esterno vicino ad Hammamet. I numeri la dicono lunga sulle ambizioni del film di voler essere un grande affresco storico di un’intera comunità, quella baariota (di Bagheria), che osserviamo mutare nel tempo, dagli anni del fascismo, al dopoguerra fino agli anni ottanta, attraverso le alterne vicende dei componenti di una povera famiglia siciliana, i Torrenuova: durante il fascismo, Cicco è un modesto pecoraio; nelle stagioni della fame e durante la guerra, suo figlio Peppino si imbatte nell’ingiustizia, scoprendo la sua passione per la politica; nel Dopoguerra, avverrà l’incontro fatale del protagonista con la donna della sua vita Mannina (Margareth Madè) che poi sposerà.
Per Tornatore, che ha pescato nel mare dei propri ricordi e tra le foto in bianco e nero di Bagheria, in un tentativo di felliniana memoria, “l’universo nasceva a via Gioacchino Guttuso 114, si snodava da piazza Madrice lungo lo stratonello di corso Umberto I e finiva alla rotonda di Palagonia”. Il microcosmo bagherese doveva servire da spunto per far parlare i siciliani, in modo naturale, della loro terra: le contraddizioni della Sicilia, le virtù e i suoi difetti, le angherie dei potenti e le sofferenze dei poveri, i personaggi surreali della vita quotidiana, forse i “mostri” della torbida immaginazione del principe di Palagonia con la passione per le statue dal mostruoso sembiante che affollavano i viali della villa omonima. I mostri sono forse gli spiritelli e i demoni custoditi nella memoria del regista Tornatore che affiorano nel corso del film sui volti dei personaggi da lui creati: il fabbro, la veggente, il banditore, il mafioso, la maestra. Si ha quasi la sensazione che Tornatore non padroneggi appieno la materia creativa che sorregge la narrazione e si avventuri in ricostruzioni storiche, che, in quanto poco verosimili, prestano il fianco alle critiche e al revisionismo storico orientato. Apprezzabili sono le scene di massa che descrivono le occupazioni delle terre da parte dei contadini all’epoca della riforma agraria, o il corteo organizzato della locale sezione del partito comunista lungo la via principale di Bagheria, u stratunieddu, subito dopo la strage di Portella della Ginestra. Troppa carne al fuoco però per un film che si dilunga in resoconti storici, in scene di vita quotidiana e non riesce a caratterizzare bene i tanti personaggi, alcuni dei quali sembrano relegati nei ruoli di macchiette. Se boss mafiosi e politici locali fanno capolino nel film, essi non convincono fino in fondo, al pari del gerarca fascista rappresentato, sul quale si appunta l’ironia di un poveraccio del paese. Una scena d’insana anarchia che più che ricordare il fascismo, ricorda le scene dei film di Chaplin in cui le forze dell’ordine sono prese di mira dal vagabondo Charlot. In fondo, Giuseppe Tornatore tradisce in questo film l’amore viscerale per la sua città natale, Bagheria, riuscendo soltanto in parte a trasmetterci la sua idea di cinema: la realtà trasfigurata nel sogno di una città ideale, rimasta immutata da quando giocava con la trottola magica dei suoi desideri di bambino.
Recensione di Davide Cufalo