Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino – Recensione
Titolo: Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino;
Autrice: Christiane Vera Felscherinow;
Genere: Romanzo autobiografico;
Anno di pubblicazione: 1978;
“Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” è un libro che ci presenta la nostra società odierna, scagliandoci in faccia la realtà: milioni di ragazzi al mondo sono dipendenti delle droghe, e molti sono gli adolescenti che muoiono per overdose. Il fenomeno della droga è così diffuso che quasi non se ne parla più. Quando qualcuno muore per overdose non si rimane più sconvolti dallo stupore, dall’incredulità. Forse bisognerebbe anche dire che la maggior parte delle volte non ci interessa cosa accade a chi ci sta intorno, perché siamo presi troppo da noi stessi. Un errore abbastanza comune che si commette quando si parla di droga è quello di creare dei tabù che non vanno per niente a favore degli adolescenti. Il libro è di una tristezza unica, essendo la storia di una precoce discesa nel mondo della droga e della faticosa, e a volte impossibile, risalita. Christiane vedeva sempre la sua disintossicazione come un processo lontanissimo ma possibile. Sogna come tutti i giovani una vita libera, felice, con il ragazzo che ama. Eppure ogni volta che prova a disintossicarsi preferisce “bucarsi”, si convince, come tutti gli eroinomani, che lei non arriverà mai a “spararsi il buco finale”. Forse, la cosa ancora più triste testimoniata dal libro, è la scarsa volontà che si ha nel fare qualcosa per il nostro bene. Piuttosto che disintossicarsi, la ragazza preferisce prostituirsi, fare le cose peggiori, per poi avere la sua dose. Christiane vede il mondo sotto un altro aspetto da quando si droga: tutti quelli che la circondano sono dei piccoli borghesi, persino i suoi professori sono degli stupidi perché non comprendono i libri che lei ama leggere. Il titolo originale del libro è “Wir Kinder wom Bahnhof Zoo”: letteralmente, “i bambini della stazione dello Zoo”. E bambini, sono quelli che ogni giorno muoiono nella Berlino degli anni ’70.
Trama: Il libro, una storia autobiografica, nasce da un insieme di interviste che Kai Hermann e Horst Rieck detengono insieme ad una giovane, il cui pseudonimo è Christiane F., la quale si trova nel bel mezzo di un processo giudiziario per droga e ricettazione. Il libro si apre con l’accusa e la sentenza. Dopo di queste, comincia la vera e propria storia di Christiane. La ragazza racconta di quando, insieme alla sua famiglia, composta da lei, una sorella più piccola di un anno e i genitori, si trasferisce dalla campagna nella grande città di Berlino. La famiglia va ad affittare un piccolo appartamento a Gropiusstadt: “casermoni per quarantacinquemila persone, con in mezzo prati e centri commerciali”. Christiane dice che da lontano tutto appare bello a Gropiusstadt, ma al suo interno tutto è grigio e triste; i bambini non possono giocare e se devono farlo, devono stare in un’area ristretta. In quel periodo il padre di Christiane si comincia a dimostrare un uomo violento la quale vita è andata a rotoli: a casa lavora solo la mamma della giovane, mentre il padre sta tutto il giorno sul divano per poi uscire la sera per ubriacarsi con gli amici. Christiane racconta che per il padre la famiglia era un impaccio. La situazione a casa degenera quando il padre ha uno scoppio d’ira; la madre di Christiane decide di divorziare e in seguito di andare a convivere con un uomo di nome Klaus. Intanto Christiane comincia a conoscere a scuola una ragazza di nome Kessi, che la porta nel circolo protestante di Gropiusstandt: l’Haus der Mitte. I giovani lì fumano droghe leggere come l’hascisc, e così, a soli dodici anni, Christiane comincia ad aprirsi al mondo delle droghe. Dall’hascisc passa agli allucinogeni come gli LSD, poi comincia a sniffare eroina, e infine se la inietta. Dal primo tiro di hascisc fino all’eroina si nota perfettamente come Christiane stia cadendo nella fossa, tutte le malattie che si procura ne sono un segno. Una sera, nella discoteca che frequenta solitamente –il Sound-, Christiane incontra due dodicenni alla ricerca di eroina. I giovani muoiono ogni giorno nella Berlino degli anni ’70 per overdose, ma sembra che agli adolescenti poco importi: sono sempre più i “ragazzi-bambini” che si avvicinano alla droga e in particolar modo all’eroina. Sempre al Sound Christiane incontra il suo primo ragazzo, Detlef, eroinomane come lei. Da qui la storia diventa vorticosa, proprio come la vita della giovane: cerca di disintossicarsi senza successo insieme a Detlef, il ragazzo comincia a prostituirsi nella stazione Bahnhof Zoo con gli omosessuali per comprare le dosi, Christiane si fa mettere dalla madre in un centro di riabilitazione da cui viene però prelevata dal padre. Decide poi ancora di disintossicarsi insieme ad una delle dodicenni incontrata al Sound, Stella. Anche questa disintossicazione non andrà a buon fine, poiché l’amica la tira sempre in tentazione. Intanto le due cominciano a prostituirsi insieme alla seconda ragazzina, Babsi. Detlef è in carcere e Christiane si sente terribilmente sola. Detlef esce dal carcere e Christiane va in ospedale per l’epatite; dopo un paio di giorni però fugge e viene segnalata come dispersa. Intanto Detlef decide di andare in riabilitazione ma dopo un po’ si ripresenta a Christiane come un neo spacciatore che però non riesce a farsi pagare dai compratori. Una sera Detlef si fa un’iniezione di eroina e sviene con la siringa nel braccio. Christiane è presa dal panico: il cuore del suo ragazzo non batte più e così chiama la polizia. Detlef però si risveglia ed esce di casa trattando malamente la ragazza. I poliziotti rintracciano la chiamata e vanno all’appartamento in cui Christiane si trova. La identificano come dispersa e la riportano alla madre; la giovane ha solo il tempo di scrivere un breve foglietto al suo amato. Quando madre e figlia si incontrano, non c’è alcuno scambio di affettuosità: la madre della ragazza ha deciso di far trasferire la figlia dalla zia ad Amburgo, lontano da tutti e da tutto, ma soprattutto dalla droga. Effettivamente Christiane riesce a disintossicarsi e si interessa molto alla lettura. Il libro si conclude, tristemente, con un pensiero di Christiane. Spiega che insieme ai suoi amici ha trovato una cava di calce e che tutti insieme costruirebbero volentieri un villaggio sotterraneo, per poi chiudersi nelle viscere della terra.
Sarah Torregrossa